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Il Rousseau nel ‘700 scriveva che il suo Emilio non era affatto un trattato di educazione per madri e padri, ma un nuovo sistema di ricerca da sottoporre a quelli che chiama “i saggi” : ” è vero che intrapresi la stesura di questo libro perché vi ero stato sollecitato da una madre; ma questa madre, nonostante sia giovane e piacevole, dispone di una sua filosofia e conosce il cuore umano; per l’aspetto è ornamento del suo sesso , e per il suo genio un’eccezione.”
Studiando pedagogia ho avuto modo di conoscere le idee dei grandi del passato, alla fine del percorso di studi sembra quasi che tu debba sceglierne uno per seguirne il metodo. Ho ammirato la Montessori che già all’apice delle sue ricerche indicava alle future pedagogiste di non fermarsi a seguire il suo metodo ma di continuare a cercare. Così oggi invece di tutte le risposte trovate nei manuali mi piace riempirmi di tutte le domande che mi sollecita la natura umana. Allora di fronte ai tanti suggerimenti e regole proposte ai genitori ormai da secoli, mi sorge il dubbio: se fossimo semplicemente genitori? Se quell’urlo lanciato dal padre per lo sfinimento delle richieste del figlio non rappresentasse un trauma indelebile nella psiche del giovane ma dimostrasse invece che i genitori sono esseri fragili e umani come lui stesso è, se in questo il figlio invece di trovare svilimento trovasse gratificazione di non essere l’unico in famiglia incapace di gestire lo stress? E se la ciabatta della mamma tirata in aria non fosse il terrore dei figli che ne combinano di ogni, ma rappresentasse un ricordo nella memoria del giovane adulto futuro che diventa scena ironica da condividere in famiglia durante le feste? E se la parolaccia scappata per caso non inducesse i figli a considerare un atto da emulare ma uno scivolone dell’adulto che dimostra di non essere perfetto suggerendo una scena alla paperissima sprint? E se essere genitore significasse essere fragili senza vergognarsene, trasmettendo ai figli che siamo tutti nella stessa condizione umana e instillando il dono del perdono per le reciproche debolezze, che si può vivere e diventare adulti onesti e rispettosi anche con qualche “gaffe” e scivolone nel percorso? E se restassimo umani invece di parlare come un manuale per il genitore perfetto? Se ci affidassimo al cuore, all’ingegno e alla semplicità del buon senso, senza ascoltare le critiche degli altri? Sappiamo dalle ricerche che un genitore perfetto produce gravi danni ad un figlio perché propone un ideale impossibile da raggiungere che lo fa sentire inferiore con terribili conseguenze, invece un genitore imperfetto ma amorevole non risulta segnalato da nessuna ricerca. Allora andando oltre Winnicott che diceva che bastava essere sufficientemente buoni per allevare un figlio, io dico sufficientemente buoni e amorevolmente imperfetti.